L’editoria, anche quella che conta, segue con molta attenzione gli esordienti, coloro che per la prima volta pubblicano un romanzo, indipendentemente dalla loro età, anche se lo scouting si concentra maggiormente, per evidenti motivi di marketing e commerciali, sui giovani.
D’altra parte, la critica letteraria non sembra invece moto interessata agli esordienti, se non è il sistema del marketing editoriale a fornirle gli strumenti (uffici stampa con comunicati, influencer, blogger, articoli preconfezionati dai comunicatori professionisti) necessari per poter fare una critica di un certo spessore.
Occuparsi, quindi, di un’esordiente come Barbara Vallotti, che si cimenta in un genere per niente facile come il giallo, significa tentare l’onesta e sincera strada dell’approfondimento letterario senza i condizionamenti del sistema o del mercato editoriale.
Se alla critica attribuiamo, come dovrebbe essere, non il compito di far vendere di più, bensì quello di ampliare lo sguardo su un testo, contestualizzandolo con lo spirito del tempo oppure mettendolo in connessione con altri scritti dello stesso genere, alla ricerca dei punti forti o delle debolezze, allora significa fare un lavoro che non soltanto aiuta il lettore a barcamenarsi nella difficilissima scelta fra migliaia di titoli, ma anche l’autore per migliorarsi sempre di più, libro dopo libro, se ha intenzione di continuare in questa strada piena di curve e di salite.
Perché recensire il libro dell’esordiente Barbara Vallotti che di mestiere non fa la scrittrice, ma il medico in geriatria e gerontologia e attualmente si occupa di riabilitazione neuromotoria e ortopedica? Perché, tra le settanta-ottantamila novità che ogni anno vedono la luce tra gli scaffali delle librerie italiane, leggere proprio Ogni tempesta ha la sua fine? Non è facile scoprire come mai un libro ti finisce tra le mani e poi cominci a sfogliarlo e infine lo leggi e, per quanto mi riguarda, lo porto anche a termine, dato che faccio parte di coloro che hanno adottato i diritti del lettore di Daniel Pennac; quindi, se un libro non mi piace, lo abbandono. Questo di Barbara Vallotti l’ho invece letto fino in fondo, con una certa voracità e quando mi sono alzato dalla tavola sono rimasto soddisfatto, ho mangiato bene.
Gli ingredienti con cui la scrittrice ha cucinato il suo piatto sono semplici, non sono elaborati, per questo sono genuini, per questo la lettura non risulta mai pesante, ma le pagine scorrono con leggerezza e ogni capitolo è strutturato in modo perfetto, sia ai fini della comprensione della trama, che a quelli dello svolgimento dell’intreccio, in un sapiente mix di salti temporali in avanti e indietro, che non soltanto hanno il pregio di tenere il lettore inchiodato alla lettura e suscitano in lui il senso del voltapagina, ma hanno anche lo scopo di dispiegare, con gradualità ma con estrema chiarezza, le personalità dei vari personaggi.
La trama è quella del romanzo giallo, dove in partenza si scopre il corpo senza vita del medico Patrizia Navarro, negli spogliatoi di un ospedale della città di Firenze. L’inchiesta ha due protagonisti, ognuno con il proprio punto di vista spesso divergente che, non a caso, porteranno a uno scontro. Quello di Vanessa Benedetti, collega della vittima, che insieme al personale medico dell’ospedale, dapprima farà di tutto per tentare la rianimazione del corpo senza vita della collega, con il risultato però di inquinare eventuali indizi e presentare il luogo delle indagini contaminato, all’altro protagonista, il commissario Alexander Martini, che parte dal presupposto che la morte di Patrizia Navarro, non sia dovuta a cause accidentali.
La relazione tra il medico Vanessa Benedetti e il commissario Alexander Martini sarà centrale per tutto il romanzo. Grazie alla loro ritrovata sintonia, ognuno porterà una tessera del puzzle, necessaria per la ricostruzione definitiva dei fatti e per la risoluzione del mistero. La bravura dell’esordiente Barbara Vallotti, che dimostra invece di aver assimilato molto bene le regole strutturali del genere giallo, è quella di presentare una tessera alla volta, analizzarla da ogni punto di vista e poi sistemarla al posto giusto, senza incertezze. Il lettore ha così, man mano che va avanti nella lettura, un quadro molto limpido di come sono andate le cose, di quali personaggi hanno alibi di ferro e quindi non possono essere coinvolti, di quali invece hanno elementi di stridore o di oscurità e che li colloca nel novero dei sospettati.
Il pregio maggiore dell’opera sta nel finale, un vero e proprio colpo di scena. Le tessere del mosaico sono andate, nel corso dello svolgimento della storia, tutte al loro posto, ma ne mancano alcune, piccolissime, impercettibili, un‘inezia di indizi, che soltanto alla fine troveranno sistemazione. Come scintille, piccole, ma luminosissime, che incendiano tutto il romanzo, lo risolvono e ne fanno la sua bellezza e la sua carica attrattiva verso il lettore, finale imprevisto e imprevedibile. L'autrice ci delizia con un perfetto esempio di come devono davvero finire i romanzi gialli.
Altro grande pregio di Barbara Vallotti è la cifra stilistica, molto particolare, quasi rivoluzionaria a livello di struttura narrativa. Il romanzo vive di frasi principali, quasi del tutto assenti le subordinate, spesso alla fine della frase c’è il punto e il capoverso. Il risultato stilistico può non piacere, a volte il lettore ama perdersi nel mare delle parole e fare prolungate nuotate fra le frasi più o meno lunghe, predilige vagare tra ipotassi e paratassi. Questo modo di scrivere di Barbara Vallotti non è per niente un punto debole o una superficialità, piuttosto è strumentale per due elementi, importanti e caratteristici del romanzo di genere giallo: la chiarezza e il ritmo. La chiarezza è necessaria perché Ogni tempesta ha la sua fine non è un thriller, con scene d’azione all’americana, bensì un romanzo psicologico, dove le personalità dei personaggi, in tutte le loro sfaccettature, sono determinanti per la risoluzione del mistero; le frasi brevi sono strumentali anche per il ritmo, che è incalzante per tutto il libro, altro grande pregio del romanzo di Barbara Vallotti, che non solo non ti annoia, ma sempre ti sorprende e ti invita alla continuazione della lettura fino all’ultimo rigo.
Lo stile di Barbara Vallotti non ammette una lettura in un'unica direzione, ogni capitolo ha ben chiaro il punto di partenza, ma non quello di arrivo, sarà necessario un altro capitolo perché si faccia nitidezza nella storia. È uno stile che cresce e si sviluppa su se stesso, pagina dopo pagina, e così facendo crea una fitta serie di strati di interpretazione delle personalità dei vari personaggi, procede con parole-chiave, segni particolari, punti fermi dei quali il lettore non può fare a meno. Ogni tempesta ha la sua fine è anche un’opera prodiga di messaggi che trovano la loro spiegazione e il contesto più attivo in altri messaggi, un lavoro di scavo nelle personalità dei personaggi, condotto con maestria dall’autrice, certa di arrivare alla soluzione, ma prima di giungere in superficie, gioca a rituffarsi nelle più attraenti gallerie psicologiche, nelle quali si fa strada a forza di intuizioni e deviazioni. Si possono fare incontri interessanti in queste gallerie piene di personaggi.
Insomma, dapprima mi chiedevo che cosa mi ha spinto a leggere Ogni tempesta ha la sua fine di Barbara Vallotti tra tutti i nuovi romanzi usciti in Italia nel 2022, ancora non ho la risposta, forse il caso, forse qualche elemento imperscrutabile, quello che mi sento di affermare con certezza è che non mi pento di averlo letto, che sento di consigliarlo e infine che adotterò un altro tra i diritti dei lettori espressi da Daniel Pennac, quello di rileggere un libro quando ti è piaciuto, perché la rilettura di un testo che abbiamo amato è stimolante e permette di entrare ancor più in empatia con lo scrittore e la sua opera.