IL SEGNALIBRO DELL'ORSO Recensioni di narrativa e poesia, di autori noti e scrittori emergenti

Paolo Orsini • 13 febbraio 2023

 ANJA E DOSTOEVSKIJ A FIRENZE

di Nicoletta Manetti

non è un saggio storico, né un romanzo, è semplicemente un bel libro.

Giovedì 9 febbraio 2023, alle ore 17.00, nella splendida cornice delle sale della Biblioteca Marucelliana a Firenze, Nicoletta Manetti, autrice di Anja e Dostoevskij a Firenze, a colloquio con le storiche Giovanna Checchi e Vincenza Bordenca, mentre il noto attore Stefano Gragnani ha letto alcuni brani tratti dal libro.

Anja e Dostoevskij a Firenze non è un saggio di 400 pagine pieno di note a margine, di cui è ricca la bibliografia storico-critica del noto scrittore russo; è semmai un agile libretto con il quale Nicoletta Manetti prende per mano il lettore lo accompagna per le strade, le pensioni, le case, le parrocchie, le istituzioni culturali fiorentine alla ricerca del passaggio di Dostoevskij e della sua giovanissima moglie Anja. Cosa non facile per la mancanza di documenti, sia perché la famosa coppia ha vissuto in incognito nel territorio fiorentino, sia perché la memoria storica è stata purtroppo ingrata con il grande scrittore russo (per esempio, la catena alberghiera internazionale, attuale proprietaria della pensione dove nel 1866 soggiornò per un breve periodo la coppia russa, è del tutto ignara del passaggio dell’autore de L’idiota, romanzo che è stato finito di scrivere a Firenze). 

Nicoletta Manetti si è comportata da storica (riporta numerose lettere e altri documenti), da detective (è andata personalmente alla ricerca del passaggio dello scrittore da Firenze) e da ottima narratrice qual è, perché ha legato tutte le tessere in un quadro generale avvincente, di piacevole lettura, esaustivo da un punto di vista storico e letterario. Arduo impegno perché Dostoevskij e sua moglie Ania avevano scelto il fermo posta per non dare indicazioni dei loro recapiti, cambiavano continuamente le case e le pensioni, non riuscivano a pagare le rette sempre più care, perché Firenze era capitale d'Italia e tutti i prezzi erano schizzati alle stelle, le dimore erano fredde e umide in inverno, caldissime e afose in estate, non interessava loro avere rapporti con i fiorentini, non parlavano una parola d’italiano, una vera e propria comunità russa ancora non c’era a Firenze, la chiesa ortodossa è stata costruita nel 1899, l’unica era una cappella privata nella villa dei Demidoff a San Donato, troppo distante per loro.

Presentare Anja e Dostoevskij alla Biblioteca Marucelliana è stato per me un vero e proprio viaggio nel tempo. Ricordo quando da studente, ormai qualche decennio fa, varcavo quel portone in Via Cavour a Firenze, quando non avevo lezione alla vicina Facoltà di Scienze Politiche di Via Laura, la prima immagine che mi trovavo davanti, che mi è rimasta scolpita nella memoria, è quella della statua lapidea della Minerva situata in una nicchia nello scalone dell’atrio d’ingresso. 

Entrare in quelle maestose sale, con le altissime pareti con gli scaffali in legno d’epoca, ricoperte di libri, vedere il grande orologio che tutto sovrasta, i lunghi tavoli, con le lanterne sopra, le sedie, tutto come allora, subito mi è tornata alla memoria l’atmosfera, il silenzio, la concentrazione dello studio, a volte interrotta, data la mia età, per il passaggio di qualche bella ragazza. Lo confesso, una sensazione di grande nostalgia, per la giovinezza, l’età più bella dell’uomo, me nessun rimpianto, quello è il passato, il presente invece è la presentazione che non voglio perdermi del libro di Nicoletta Manetti.

Questo soggiorno di Dostoevskij a Firenze tra il novembre 1868 e il luglio dell’anno seguente, nel momento in cui Firenze era capitale d’Italia, era stato preceduto da una breve visita di una settimana nell’estate del 1862 insieme all’amico filosofo e critico letterario Nikolaj Nikolaevič Strahof, a seguito delle pressioni di molti intellettuali russi, soprattutto del suo amico e rivale Turgenev, tutti testimoni delle bellezze fiorentine a seguito di molti viaggi che si stavano diffondendo in quel periodo, soprattutto grazie alla diffusione delle guide turistiche dell’editore tedesco Baedeker, precursore ottocentesco del turismo di massa.

Dostoevskij non era certo un turista di quel genere, venne a Firenze in incognito, per sfuggire all’editore del momento che lo pressava per la consegna de L’idiota, ai creditori che in patria non lo lasciavano mai in pace, al vizio del gioco, a tutta una serie di problematiche piuttosto pesanti. Così il periodo fiorentino, pur tra mille difficoltà, che Nicoletta Manetti ha ricostruito con la pignoleria del ricercatore mai sazio di informazioni, è stato un momento di assoluta felicità per Fëdor Michajlovič Dostoevskij. 

Felicità la cui artefice assoluta è la moglie Anja, per questo Nicoletta Manetti ha voluto mettere il suo nome davanti a quello del marito nel titolo del suo libro. L’importanza del ruolo salvifico di Anja assume una rilevanza notevole alla luce del fatto che la giovanissima allieva, prima della classe di stenografia, consigliata dagli amici di Dostoevskij mentre stava scrivendo Il giocatore, fu profondamente innamorata del marito, lo ha guidato, protetto, consolato, spronato al punto che gli storici letterari, e Nicoletta Manetti con loro, sono convinti che non avremmo avuto le opere successive a L’idiota, se Anja, non fosse sempre stata al suo fianco, avesse combattuto insieme a lui molte battaglie, le avesse fatto da angelo custode, lo avesse assistito durante le crisi epilettiche. Ma la cosa più importante è che Anja sia riuscita a sconfiggere il demone più pericoloso, più devastante, quello del vizio del gioco. Anja ha avuto anche velleità di scrittrice, ma l’unico libro che ha pubblicato è stato Dostoevskij mio marito, una biografia edulcorata e mitigata di una moglie devota che giustifica tutto del marito, ma che è una fonte inesauribile per capire lo scrittore russo. 

Nicoletta Manetti, che non è di parte come la moglie Anja o la figlia Liubov, da brava ricercatrice, vuole andare più a fondo e scoprire quale sia le verità e si chiede se Firenze per Dostoevskij fu un paradiso o un inferno? Probabilmente entrambi. Qui la lettura del libro assume i sapori del romanzo giallo. Molte le tessere da comporre per avere il quadro generale della verità. Inferno per una serie di cause: le crisi di epilessia; l’angoscia per il tempo che non era mai sufficiente per scrivere; il clima avverso anche per uno come Dostoevskij che è stato dieci anni in Siberia; le difficoltà per la religione ortodossa, non riconosciuta dai preti cattolici che gli negavano anche le messe in memoria della prima figlia morta, ma soprattutto il denaro che non bastava mai, gli anticipi dell’editore che non arrivavano, addirittura sarà costretto a impegnare la biancheria per pagare le pigioni.

“La povertà non è un vizio, ma la miseria, l’indigenza è vizio.

 Nella povertà voi conservate ancora la nobiltà dei vostri sentimenti innati;

nella miseria, invece, nessuno mai la conserva”

 (Fëdor Michajlovič Dostoevskij)


Scrive il 27 maggio all’amico A.N.Majkov: “L’afa è spaventosa, la città è soffocante e arroventata, abbiamo tutti i nervi a pezzi, cosa che fa male soprattutto a mia moglie… en attendant ci affolliamo in una camera minuscola che dà sul mercato. Questa Firenze mi ha stancato, ora stretti come siamo e con questo caldo, non riesco neppure più a lavorare. In generale, ho addosso un'angoscia tremenda, soprattutto a causa dell'Europa, qui guardo tutto come una belva in gabbia. Ho deciso di tornare a Pietroburgo a qualunque costo entro la prossima primavera, anche se dovessero incarcerarmi per debiti.


Firenze fu anche paradiso perché la solitudine fiorentina ha isolato ma anche cementato ulteriormente l’unione tra Anja e Fëdor, come scrive la figlia Liubov, concepita proprio durante il periodo fiorentino e nata a Dresda due mesi dopo che i Dostoevskij avevano lasciato Firenze: “I miei genitori erano molto felici a Firenze. Mi sembra che sia stato il periodo più armonioso della loro luna di miele. Mio padre amava molto l’Italia; diceva che il popolo italiano gli ricordava quello russo”. Oppure, le giornate passate al Vieusseux, unico luogo pubblico dove sia documentata la permanenza di Dostoevskij, dato che ha pagato l’abbonamento, per leggere le riviste russe ogni giorno, una necessità, per rimanere in contatto con il proprio paese, al punto da prendere pensione nei dintorni del Vieusseux; le passeggiate, consigliate dal medico per la salute psico-fisica, a braccetto di Anja al Giardino di Boboli, dove resta stupito per la fioritura delle rose a gennaio. Un momento di sollievo quando a Firenze arriva maman, la suocera, per assistere la figlia Anja in gravidanza; scrive Nicoletta Manetti: “Tanta era l'ansia e la paura di ritrovarsi da soli al momento del parto, che Anja scrisse a sua madre di raggiungerli. Era legatissima a maman. E anche Fëdor aveva simpatia sincera per Maria Anna Snitkina, quella suocera garbata e colta di soli nove anni più vecchia di lui. Inoltre, le sue origini svedesi le conferivano una certa riservatezza che rendeva la convivenza più semplice, sebbene così costretta. Solo con molta tolleranza ed educazione era possibile vivere in tre persone in spazi tanto angusti. Lei, per rispetto del genero che non riusciva a scrivere, era quasi sempre fuori casa, tra botteghe, mercato e commissioni”.

Per capire se Firenze è stata per Fëdor Michajlovič Dostoevskij inferno o paradiso, non ci resta che concludere con le parole di Nicoletta Manetti: “Insomma, cosa è stata Firenze per Dostoevskij? Paradiso o inferno? Felicità o infelicità? Credo che, come per tante altre occasioni della sua vita, potremmo trovare né I demoni, la risposta: «Accanto alla felicità, un uomo ha bisogno anche di altrettanta infelicità». La vera felicità la si prova solo se si è provata l'infelicità. Lui l'aveva sperimentato più volte: gioia pura era stata quella provata quando all'ultimo momento il plotone di esecuzione aveva ricevuto l'ordine di non sparargli. O la nascita di Liubov, dopo avere provato lo strazio della perdita di Sonja. O avercela fatta a consegnare in tempo un manoscritto quando era parso impossibile. O avere vinto la schiavitù del gioco. Così anche per Firenze: più gli alloggi erano umidi o soffocanti, più godeva delle passeggiate e dei cieli azzurri quando erano azzurri o del fiume che non ghiacciava mai. Più soffriva l'isolamento, più stringeva il suo legame con Anya e alimentava dentro di sé quel misticismo che lo avrebbe portato alle opere successive. In questa città, incantato dalla Madonna della Seggiola e dalla Porta del Paradiso, ebbe la gioia di concepire un figlio e la terribile paura di perderlo. Firenze rimane comunque forse l'unica città europea di cui lo scrittore conserva ricordi piacevoli. Per dirla con lui, quindi, a Firenze in quegli otto mesi, il grande Dostoevskij forse ha trovato tutta l'infelicità e la felicità di cui aveva bisogno. In egual misura.

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