La mia dedica è all'umanità che con il crescere perde di sensibilità e di correttezza.
Amore a noi tutti.
Giovanna Zantedeschi
Il sole, le parole, la poesia, la vecchiaia, il pianto, la preghiera, il pensiero, l’ipocrisia, il niente, il vento, il mare, la notte stellata, la vanità, c’è tutto questo nella silloge poetica di Giovanna Zantedeschi, la sua visione del mondo, espressa attraverso una poesia semplice, chiara, comprensibile da tutti, qualità sempre più rara per la tendenza della poesia contemporanea all’ermetismo esistenziale al limite dell’incomprensibilità.
E ancora: l’accettazione dell’altro, la burla, la malinconia, la personalità semplice, la noia, la malattia, la pace, il segreto, la paura, il dolore, temi trattati con qualche leggera pennellata di tinta pastello, che accarezza la mente e fa riflettere con leggerezza, senza affanno. Questa forse la caratteristica più originale e interessante della poetica di Giovanna Zantedeschi.
Preferisco non addentrarmi nella critica alla poesia, un pianeta per me affascinante ma anche inesplorato. Lascio il compito al più esperto Jacopo Chiostri, scrittore fiorentino che così commenta l’opera di Giovanna Zantedeschi nella quarta di copertina del libro: “Versi duri, potenti, crudi, perfino crudeli. In questa silloge la poetessa ci accompagna in un cammino fatto di domande che nel suo poetare così inedito e inusuale nella forma, riesce a farsi universale. Parla, insomma, tutti noi ci chiede di ascoltarla e rende visibile la propria onda emozionale che chiedeva di essere esplicitata. Vi riesce mettendo in relazione i ricordi con la loro elaborazione, in una sintesi in cui il pensiero razionale non regge all'urto della passione. Nelle sue pagine non troveremo verdetti, bensì delle registrazioni che la sapienza poetica, libera dall'ovvio e dal proclama, le cristallizza sulla pagina con una frequenza tanto simile a un battito cardiaco. Non c'è ermetismo, nessuna maschera, bensì un'alternanza di luci e ombre in una sorta di preghiera laica che percorre una strada che possa, debba farsi consolatrice. Il poeta è come il funambolo che cammina sul filo, lassù in alto e il suo percorso risente del vento, ma sarà solo soltanto dalla “rupe” che vincerà le sue paure e ci farà compagnia per tutto il tempo che trascorrerà da quando un Dio ci ha lasciati e uno nuovo ci raggiungerà.
La morte e l’amore sono i temi ricorrenti, che ne determinano la cifra stilistica, una sorta di continuo e incessante alternarsi, scaturiti entrambi dal dolore e dalla sofferenza che così tendono a esorcizzarsi. L’amore come antidoto alla morte, la morte come soluzione finale per un amore impossibile, un continuo rotolare verso l’ignoto che trascina il lettore nella lettura delle poesie, una dopo l’altra, divorate dal desiderio che trasuda, senza mai farsi rovente, in una lirica dalle tinte non abbaglianti, delicata e educata. Nel panorama attuale della letteratura, che tende a rappresentare sempre emozioni forti, estreme, che stordiscono, questa lirica di Giovanna Zantedeschi, riesce ad accarezzarti come una leggera brezza estiva.
In questa raccolta di poesie di Giovanna Zantedeschi, si alternano immagini serene e contemplative ad altre immagini più cupe e vibranti; la poetessa riesce a creare uno spazio emotivo in cui invita il lettore a guardare più da vicino la morte, abbracciandola come un momento certamente doloroso, ma anche necessario nel cerchio della vita.
Il modo in cui l'uomo si relaziona alla morte è cambiato nel tempo. La finitezza umana è stata vissuta, nel corso dei secoli, sempre con inevitabile familiarità. Nella nostra attuale società, caratterizzata dal desiderio di prolungare la giovinezza all'infinito, la rappresentazione della fine di un ciclo di vita è vista come un fallimento e quindi da evitare a tutti i costi. Tuttavia, la poetessa si chiede: se non possiamo stabilire i limiti della nostra vita, come possiamo connetterci ad essa e a noi stessi?
Attraverso una narrazione tra forze opposte e complementari, tra presente e assente, realtà e finzione, tra qui e là, c'è una visione più ampia del nostro senso dell'essere. Forse, da qualche parte tra la fluttuazione della presa di coscienza della nostra stessa mortalità e il desiderio di essere immortali, possiamo trovare un'opportunità per vivere profondamente. Forse è soltanto l’amore che può dare risposta a queste inestricabili domande.