L'IMMOBILE ENERGIA DELLA FORMA la pittura di Oscar Ghiglia
Oscar Ghiglia, con l’opera Natura morta con vaso Copenaghen e calle, è stato uno dei protagonisti alla XXXII Edizione della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze tenutasi a Palazzo Corsini dal 24 settembre al 2 ottobre 2022

Si è conclusa a Firenze, nelle sale del Palazzo Medici Riccardi, l’importante mostra Oscar Ghiglia – Gli anni del Novecento. Se non hai fatto in tempo a visitarla, trovi qui un’ampia rassegna delle sessanta opere, provenienti da prestigiose collezioni private e da istituzioni pubbliche come la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, presenti in mostra.

Oscar Ghiglia (1876-1945) è pittore nato e cresciuto a Livorno, trasferitosi a Firenze per seguire l’amico Giovanni Fattori. La sua prevalente toscanità non gli ha impedito di assorbire le influenze artistiche europee, in particolare quelle di Cezanne. In seguito, ha sviluppato una cifra stilistica del tutto personale, culminata nella serie delle nature morte, alla ricerca di forme e colori nitidi e ordinati, allo stesso tempo enigmatici e simbolici, una sorta di “poesia muta” immobile ma anche fremente di vita.
La pittura è fondata unicamente sulla legge del saper trovare il tono giusto in un colore e costringerlo nel suo giusto spazio. (Oscar Ghiglia)


Bisogna crearsi una vita antica
per voler restare nel nostro tempo
(Oscar Ghiglia)

La mostra prende avvio dagli anni 20 quando Ghiglia, tornato a Firenze dopo la grande guerra, si trova allineato al diffuso clima del cosiddetto “ritorno all'ordine”. Alcune opere iconiche dei due decenni precedenti, come il Gomitolo rosso (1908) o la Tavola imbandita (1908), mostrano come nella pittura di Ghiglia la forma sia concepita come “assoluta” e acquisisca energia e intensità proprio dalla sua immobilità. Tale ricerca prosegue negli anni, arricchendosi di stimoli francesi tardo impressionisti in tele come Alzata con arance (1915-1916), opera ferma e fremente, concreta e astratta a un tempo, in anticipo rispetto a tanta arte nazionale. Il grande Autoritratto del 1920 segna idealmente l'avvio di un percorso costellato di episodi dove reminiscenze di Cezanne, spiritualità evocativa del colore e rigore compositivo, si compenetrano con esiti sorprendentemente originali.
Fino a tutti gli anni Venti, il pittore, a causa della sua natura schiva e riservata, non è interessato a promuovere le proprie opere, né con la critica ufficiale, né con gli altri colleghi pittori. Si separa dai suoi quadri solo per affidarli a pochi collezionisti colti e raffinati. Lontano dalle mode del mercato, soprattutto da un regime che sente intollerabile e sempre più opprimente, Oscar Ghiglia sviluppa un personale rapporto con la classicità, così come si delinea nel gruppo di artisti Novecento, guidato da Margherita Sarfatti. La corretta prospettiva storica in cui collocare questo grande pittore del XX secolo è questa del “ritorno” alla tradizione figurativa, dove la semplicità e la purezza della forma tornano a essere centrali nel dibattito figurativo. Dopo le ricerche pittoriche condotte in solitudine nel volontario esilio a Castiglioncello, durante gli anni cruciali del conflitto, Oscar Ghiglia torna a misurarsi con la classicità, tema che sente imprescindibile fin dagli esordi dell'attività, già affrontato in opere come la Camicia bianca del 1909, alla luce di un rinnovato e più asciutto sintetismo, nel quale predominano gli accordi di bianco e dove la figura umana è puro elemento della composizione.

IL NUDO E MODIGLIANI
Nel 1922 la Biennale di Venezia riserva a Amedeo Modigliani, amico di Ghiglia dagli anni della formazione a Livorno e a Firenze, il prestigioso riconoscimento di una mostra individuale, premio che arriva, in grave ritardo, dato che l'artista è prematuramente scomparso il 24 gennaio del 1920. Da questo momento i nudi si diffondono nel repertorio di molti pittori e scultori, anche di Ghiglia, che aveva anticipato questa tendenza nel 1908 con Nudo disteso. A mettersi in posa non è, come di consueto, la moglie Isa, ma una o più giovani modelle. Il fascino arcaico delle opere dell'amico Modigliani non gli è indifferente, non importa se le forme allungate, gli occhi a mandorla nascono a Parigi dai Fauve, da Constantin Brancusi o dall'arte africana, in Ghiglia si mescolano con il mondo etrusco, e questo per lui è sufficiente.

In Italia non c’era nulla. Sono stato dappertutto.
Non c’è un pittore che valga.
Sono stato a Venezia, negli studi…
In Italia c’è Ghiglia. C’è Oscar Ghiglia e basta
(Amedeo Modigliani)

GLI ANNI DEL REALISMO MAGICO – LA MAGIA DELLA FORMA
Giovanni Papini, scrivendo dell'opera di Oscar Ghiglia, definisce quasi magica la vita che il pittore è capace di infondere nelle proprie opere, sia nelle figure umane, che nelle nature morte. È negli anni Venti che Massimo Bontempelli introduce, nel linguaggio artistico italiano, con varie connotazioni, il fortunato ossimoro realismo magico, coniato dal critico tedesco Franz Roh nel 1925. Oscar Ghiglia si ritrova in questo particolare sentire, non tanto per aderire a formule e posizioni altrui, ma per una naturale evoluzione del proprio personale percorso di ricerca. In opere come Ugo Ojetti nello studio del 1908 e in La toilette della signora Ojetti del 1909 è infatti già presente quel “realismo preciso, avvolto in un'atmosfera di stupore lucido” e “quella precisione realistica e atmosfera magica” di cui parlerà Bontempelli.
I dipinti di Oscar Ghiglia risultano di una fissità perentoria, quasi irreale ed enigmatica, tuttavia vibranti di una decisa pennellata, carica di colore intenso. Ama gli effetti luministici e le superfici specchianti, quasi a suggerire che la realtà non è altro che un riflesso. La modella non si guarda nello specchio, anche se lo tiene in mano, intorno vi sono gli elementi della quotidianità.


Anche quando riprende la nuca della moglie Isa, senza mai scadere nell’intimo quotidiano, ma rimanendo in un piano di essenziale classicità, l’opera di Ghiglia restituisce spesso un'atmosfera di silente mistero, quel “senso magico scoperto nella vita quotidiana degli uomini e delle cose” per dirla con Bontempelli.
Nei ritratti si notano i gesti e le pose neoclassiche, che donano al dipinto un aura idealizzante, che rimandano alla matrice del ritratto ottocentesco. La scansione netta delle zone cromatiche, tipica del Ghiglia, contribuisce a isolare la figura, con un effetto che ai nostri occhi moderni può apparire di straniamento, ma che certo era recepito senza autoironia, come segno, ancora una volta, di ideale nobiltà.

In apparenza molti suoi quadri sono, come si dice,
nature morte, ma vive, candidamente vive, vive di quella vita che è data dalla presenza invisibile dell’uomo e soprattutto dalla vita quasi magica ch’egli spira lor dentro
colla forza del suo cuore commosso.
(Giovanni Papini)

