Steve McCurry è un testimone. Il suo impulso al racconto gli dà, ancora oggi, l’energia per continuare a cercare e l’ottimismo per non smettere mai di credere che arriverà a completare la sua missione.
L’Istituto degli Innocenti di Firenze, da oltre seicento anni si occupa di tutelare promuovere e i diritti dell’infanzia. Progettato da Filippo Brunelleschi, fu pensato per dare l’opportunità di un futuro ai bambini, affidati alle cure della comunità e la cui storia è rappresentata nel Museo degli Innocenti. Quale luogo migliore, pertanto, per ospitare le fotografie di Steve McCurry, le cui tematiche relative all’infanzia sono centrali nell’opera di stampo umanista del grande fotografo americano. Non a caso, la sua fama planetaria è partita dal celeberrimo scatto del 1984 che ritrae una bambina afghana in una scuola di un campo di rifugiati, foto che da sola ripaga la visita della mostra, anche se le ampie sale del Museo degli Innocenti ospitano un gran numero di fotografie, al punto che si può ritenere, senza iperboli, di trovarsi di fronte a una delle più vaste rassegne di fotografie di Steve McCurry dedicate all’infanzia.
La mostra di Firenze ha proposto una straordinaria serie di ritratti, immagini di guerra e di poesia, di sofferenza e di gioia, di stupore e di ironia. I bambini di Steve McCurry provengono da tutto il mondo, non soltanto dalle zone di guerra; tutti diversi per etnia, tradizioni, abiti ma accomunati dalla stessa gioia di vivere e di giocare anche in contesti difficili, pericolosi, degradati. La loro gioiosa energia fa da contrasto alla cupezza dell’ambiente che li circonda, irradiando una luce di speranza che rischiara quei luoghi cupi e inquietanti.
«Scattare una fotografia che poi verrà pubblicata e diffusa significa mostrare a una fetta di mondo che non è testimone diretto, qualcosa che altrimenti non avrebbe mai visto. È un modo per fare aprire gli occhi, per mettere di fronte a una realtà distante chi non è abituato a pensare al di fuori dei propri confini. Per rendere edotti. Chi ha visto non può più dire di non sapere». Steve McCurry
Le immagini più toccanti, e infatti sono tra le più premiate, sono quelle che ritraggono i bambini in zona di guerra, che giocano con la carcassa di un carro armato o che hanno dimestichezza con fucili e munizioni, una realtà purtroppo molto più diffusa di quello che si possa pensare. Infatti, secondo l’organizzazione internazionale Save the Children un bambino su sei è costretto a vivere in zone di guerra ed è testimone involontario di eventi traumatici che lo segneranno per tutta la vita, secondo alcuni studi ancora quando si trova nell’utero della madre.
“La visione dell’infanzia di McCurry è variegata e diversificata, come i bambini di tutto il mondo. Ma, a prescindere da dove punta il suo obiettivo, il filo conduttore è questo: finché ci sono bambini c’è speranza”. Dalle foto emerge potente “l’eterna resilienza dei bambini…presenza vivida negli scatti di Steve McCurry, che ha catturato il desiderio e la capacità di trovare gioia anche nelle condizioni più difficili. Il gioco come necessità si manifesta in innumerevoli modi, come nella foto dei bambini che si arrampicano sul carro armato arrugginito, trasformando uno strumento di morte in una fonte di divertimento. Questi bimbi non sono mossi né da un’ideologia né da una filosofia: stanno semplicemente convertendo una terribile arma in un giocattolo…” (Owen Edwards, critico fotografico).
Nel corso di tutta la sua carriera ha esplorato gli ambiti più remoti del pianeta, realizzando reportage dalle zone di guerra, seguendo spedizioni umanitarie, alla ricerca di qualcosa che con il tempo si è trasformata nel suo unico obiettivo:
l’essenza dell’umanità, intesa come genere umano. La sua ricerca lo ha portato a scavare tra le immagini di un mondo non sempre piacevole, ma sempre meritevole di essere raccontato. Ha cercato la bellezza negli slum indiani, la spiritualità sulle creste himalayane, la resilienza negli occhi verdi delle ragazze afghane.
La foto ragazza afgana è la più celebre del fotografo americano. Il volto della ragazza è stato immortalato in un campo profughi in Pakistan nel 1984. Per 17 anni la sua identità è rimasta sconosciuta, fino al momento in cui, nel 2002, la donna è stata rintracciata da McCurry e un team di National Geographic, il suo nome è Sharbat Gula.
Il primo piano della ragazza è incorniciato da un velo rosso, dal quale spuntano i capelli bruni, e uno sfondo verde. Questo contrasto di colori conferisce una grande profondità e magnetismo. Gli occhi verde ghiaccio di Sharbat Gula sembrano rivolgersi direttamente allo spettatore che viene catturato da quello sguardo evocatore di rabbia, vulnerabilità e paura. Questa immagine è diventata il simbolo universale delle difficoltà affrontate dai rifugiati in tutto il mondo, strumento attraverso il quale raccontare una realtà toccante e drammatica.
Dall’India all’Afghanistan, dal Tibet al Messico, dalle Filippine al Libano, dal Pakistan alla Birmania, dal Madagascar allo Yemen, dal Giappone fino all’Italia, le suggestive immagini della mostra Children del Museo degli Innocenti, ritraggono bambini con stili di vita ed espressività diverse, ma che parlano un linguaggio universale: quello della resilienza, della solidarietà, della aggregazione. Bambini che vivono nelle grandi metropoli ma anche nei villaggi rurali, che combattono una lotta giornaliera contro un destino avverso che li tiene lontani dal gioco e dalla spensieratezza, cosa che dovrebbe essere diritto di ogni bambino e che invece la vita ha condannato a un destino di profugo o di lavoratore sfruttato.
Steve McCurry è considerato da oltre mezzo secolo una delle voci più autorevoli nel panorama della fotografia internazionale. Universalmente riconosciuto come maestro del colore, per l’abilità di creare immagini perfettamente equilibrate da un punto di vista cromatico e che mantengono un’alta drammaticità per la capacità di isolare dal contesto soltanto alcuni elementi che fanno parte del tema che il fotografo ha in mente.
Il risultato è un’immagine che ha tutta la drammaticità dello scatto di reportage, ma anche la pittoricità di un quadro che ti invita alla riflessione. Lo scatto fotografico è la riproduzione di un tempo infinitamente breve, mentre le foto di Steve McCurry diventano momenti immortali proprio per la loro pittoricità, per l’accuratezza della ripresa, in molti casi il risultato di ore di attesa, alla ricerca della migliore luce, del miglior movimento del soggetto, del miglior contrasto cromatico. Steve McCurry un Vermeer della fotografia, per la capacità di costruire armonia all’interno dell’immagine, sia come distribuzione degli spazi, dei pieni e dei vuoti, sia come accostamento dei colori.
Steve McCurry è un narratore visivo della storia, della cultura e della condizione umana del nostro tempo. Il suo approccio alla fotografia è prevalentemente antropologico: non è alla ricerca di scatti che riescano a stupire, piuttosto di quelli che raccontino una storia. Un racconto vissuto in diretta attraverso l’esplorazione del mondo che fa da oltre mezzo secolo.
C’è una qualità contemplativa o meditativa nella fotografia
che trovo sia una sorta di stato pacifico.
Adoro poter viaggiare per il mondo
e sperimentare culture e paesaggi diversi.
Steve McCurry
Presentiamo alcune foto della mostra di Steve McCurry a Villa Bardini (Firenze) nel 2018
Ecco altre fotografie presentate alla mostra di Steve McCurry a Villa Bardini (Firenze) nel 2018