IL SEGNALIBRO DELL’ORSO Recensioni di narrativa e poesia, di autori noti e scrittori emergenti

Paolo Orsini • 25 marzo 2024

“Per buttar giù la trama mi ci sono voluti due giorni

e ora sono alle prese con l’incipit,

la porta che apre il cuore a chi legge.

Alla fine della mattinata ho già scritto una decina di paragrafi.

E li ho cancellati tutti. Tranne uno” (cit. pag. 256)

Scrivere la sinossi di un giallo è sempre operazione piuttosto delicata perché si rischia di fare spoiler e di rivelare fatti e avvenimenti significativi che invece vanno tenuti rigorosamente segreti. Mi affido pertanto alla sinossi contenuta nel risvolto della copertina del libro.

Senza più soldi e con la prospettiva di un'occupazione qualsiasi, Fabio del Colletto, già cronista di nera in un quotidiano fiorentino, decide di raccontare in un libro i retroscena di una storia nella quale sangue e politica si sono mischiati. Mentre scrive, però. Fabio viene a trovarsi senza lavoro, senza un soldo e con davanti a sé, come unica prospettiva per tirare avanti, quella di mettersi a vendere piccoli spazi pubblicitari su un giornaletto di annunci economici. La sua vita è a un bivio, da una parte quello che ama, dall'altra la fine dei sogni e l'ammissione che avevano ragione i suoi genitori quando gli ripetevano che la vita è una croce da portare con rassegnazione. Prima di arrendersi, capisce di avere un'unica possibilità: pubblicare il libro con la storia di cui è stato testimone e attore, ma non sarà così semplice… la posta in gioco è troppo alta.

Per capire la trama ci si può anche affidare alle pagine del libro: “Questo libro racconta un intrigo internazionale, uno sporco affare che ha preso l'avvio negli Stati Uniti, a Hope, una cittadina dell'Arkansas, ed è sfociato in due omicidi commessi qui a Firenze nel gennaio del 2023. Quando lavoravo come cronista di nera in un giornale minore fiorentino, questa storia l'ho vissuta in prima persona; se avete letto i miei articoli questo già lo sapete. Quello che invece pochi sanno è che ho rischiato a mia volta di venire ucciso e che in ultimo sono stato licenziato dal giornale perché, per portare avanti la mia inchiesta, mi sono spacciato per poliziotto” (cit. pag. 256)

Ma chi è che parla? Il protagonista, Fabio del Colletto o l’autore Jacopo Chiostri? Questo romanzo è un gioco di specchi. La copertina sintetizza perfettamente il doppio registro, narrativo di pura fantasia e autobiografico dell’autore che è giornalista. Chi è l’uomo ritratto in copertina? Fabio o Jacopo? Anche la presenza di un pc e di un foglio di carta rappresenta le due accezioni temporali della scrittura, quella tradizionale e quella moderna. 

La scrivania, inoltre, è quella su cui lo zio di Jacopo, Carlo Chiostri, pittore e illustratore di una certa fama, disegnava le tavole su Pinocchio, con cui ha illustrato un libro della Giunti. Jacopo ha subìto l’influenza del parente pittore, perché il suo modo di scrivere è simile alla pittura, le scene sono dei quadri che si susseguono come in una mostra.

Per concludere l’analisi della copertina, occorre notare che il colore scelto non è un giallo deciso, ma sembra più un senape. Scelta voluta per significare che questo romanzo non è un vero e proprio giallo, anche se ci sono tutti gli elementi della narrazione thriller che l’autore padroneggia con maestria per la sua lunga militanza giornalistica nella cronaca nera, ma è anche indagine psicologica (il rapporto genitori/figlio) e sociale (il mestiere del giornalista).

Anche i precedenti romanzi di Jacopo Chiostri debordavano dagli schemi classici del giallo, affrontando varie tematiche con numerosi registri narrativi e varie chiavi di lettura. Uno di questi è Hans MD5 dove una giostra di personaggi fuori dal comune hanno a che fare con la banalità del male, ma anche problematiche sociali e aspetti inconsueti del carattere umano; un altro è Non è un caso, dove il commissario Gennaro si trova di fronte a una situazione che non è più organizzata con lo schema consequenziale classico causa/effetto, ma secondo misteriosi collegamenti spazio-temporali, che soltanto alla fine avranno la loro spiegazione razionale, grazie alle intuizioni “non razionali” del commissario.

In Volevo il Pulitzer non c’è più un commissario, ma un giovane giornalista che a volte si finge poliziotto per potere indagare su una situazione che apparentemente può sembrare paradossale: un intrigo internazionale che avviene negli USA collegata a due omicidi che avvengono a Firenze. Il romanzo ha un romanzo al suo interno, o se vogliamo è il romanzo di un romanzo. Quello che resta costante è l’atmosfera fiorentina, la città di Firenze, analizzata in mille sfaccettature, da angoli diversi, soprattutto in quella consolatoria: “Firenze sa essere così consolante, questi edifici che mi accompagnano lungo il cammino stanno lì a ricordare che non può succedere niente di irreparabile” (cit. pag.89), mentre l’America rappresenta il sogno, la ricerca della propria strada, la liberazione dalle catene dell’educazione familiare.

Infatti, uno dei temi ricorrenti del romanzo è l’influenza dei genitori sulla vita dei figli. Il protagonista ha una famiglia iperprotettiva, che l’ha cresciuto con un modello di prudenza e di sicurezza, che non lo ha mai spronato ad assumere i rischi. Non osare, altrimenti paghi il conto. Per questo quando Fabio del Colletto perderà il lavoro crederà di avere delle colpe che invece non ha. Il romanzo nel romanzo ha questa energia creativa data dalla lotta del protagonista contro l’eredità psicologica della famiglia che lo ha condizionato con il motto “impara a portare pazienza e a portare la tua croce”. Questa resistenza è l’aspetto più suggestivo e significativo del romanzo.

“I miei genitori non mi hanno mai picchiato. Neppure uno scapaccione. Quando, secondo i canoni di famiglia, mi comportavo male, piuttosto assumevano l'area delle vittime e si allontanavano scuotendo la testa. A me andava bene così, solo più tardi ho capito che sarebbe stato meno doloroso essere preso a ceffoni. Perdere il lavoro è traumatico, ma fu peggio dover ammettere che avevano ragione loro: a inseguire i sogni si rischia troppo” (cit. pag. 17)

La sconfitta si esprime a livello psicologico con gli attacchi di panico che tormenteranno Fabio del Colletto. La famiglia lo ha addestrato al controllo e ai pericoli ma, se si presenta una situazione nuova e diversa, va in crisi. Il sogno del giovane giornalista che ha sventato l’intrigo internazionale e che ha ricevuto addirittura una lettera del presidente americano Joe Biden che lo ringrazia e lo elogia, il sogno di vincere il Pulitzer s’infrangerà nella sua stessa rinuncia. E questo eroe perdente che ama volare ma che resta con i piedi ben piantati tra le pietre delle strade di Firenze ci piace moltissimo perché è un eroe pieno di paure, di dubbi, d’incertezze, proprio quel tipo di eroe “normale” che popolano la vera letteratura e non sono cliché della fiction stereotipata che il mercato editoriale ci vomita addosso in grande quantità.

“Il computer si sta mettendo in moto e, come al solito, non ha granché voglia di affrettarsi al servizio del diritto all'informazione. Intanto penso che l'idea che mi frulla per la testa abbia una lacuna grossa come il Monterosa e l'euforia se ne va. Questi alti e bassi, che mi capitano spesso, dovrebbero essere la prova della capacità di mettermi in discussione, ma non è così, in realtà cerco sempre le scorciatoie” (cit. pag. 69)

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