Il rispetto per la pace e la vita umana, la scelta del dialogo rispetto alla forza, il rifiuto del militarismo e dell'espansionismo imperiale, perfino il rispetto per le donne e il sorriso che appariva così spesso sul suo volto, dimostra che Mikhail Gorbaciov è l'esatto contrario di Vladimir Putin.
Era il 1987 quando ho letto il libro di Mikhail Gorbaciov Perestrojka sottotitolato Il nuovo pensiero per il nostro Paese e per il mondo e dopo trentacinque anni mi chiedo in quale discarica delle idee sia finito quel pensiero. Gorbaciov appariva come l’unico dittatore dalla storia che ha voluto fare i conti con la sua dittatura per eliminarla. All’epoca mi sembrava davvero l’alba di un nuovo corso della storia, un nuovo mondo, dove le tirannie, di ogni colore e forma, sarebbero arretrate per lasciare spazio alla democrazia e alla giustizia. Mi illudevo.
Lo storico John Gaddis ha lo ha dipinto come un gigante solo all’apparenza, paragonandolo a un dinosauro, destinato alla fine all’estinzione. Purtroppo, la storia gli ha dato ragione. Cosa resta della visione ottimistica della storia di Mikhail Gorbaciov oggi?
Il rapporto Nations in Transit 2022 di Freedom House, un’organizzazione non governativa internazionale, con sede a Washington, che pubblica report annuali su democrazia, libertà politiche e diritti umani, rileva che gli autocrati stanno passando all'offensiva e stanno guadagnando terreno in tutto il mondo e, in particolare, in una regione che, ai tempi di Gorbaciov, era considerata un faro di speranza per il progresso democratico. Proprio il nipotino di Gorbaciov, quel Putin che ha sempre posizionato il Cremlino come un punto di riferimento per le autocrazie che la pensano allo stesso modo in Europa e in Eurasia, ha sostenuto il dittatore bielorusso Alyaksandr Lukashenko, o quello kazako Kassym-Jomart Tokayev, ha sponsorizzato il terrorismo internazionale in Siria e in Africa, al fine di destabilizzare l’Europa. Le condizioni della libertà e dei diritti hanno continuato a deteriorarsi in altre autocrazie radicate. Insieme a Russia, Bielorussia e Kazakistan, i risultati peggiori nel rapporto sono Azerbaigian, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, dove despoti imperturbabili hanno represso il dissenso e abbattuto i pilastri di una società aperta, compresi i media indipendenti e le organizzazioni civiche. La democrazia in questa area è diminuita per 18 anni consecutivi, dal 2004. La guerra di aggressione di Vladimir Putin contro l’Ucraina potrebbe accelerare la tendenza antidemocratica in Europa e in Eurasia. Se lo sforzo dovesse avere successo, segnerebbe la prima volta che un potere autoritario ha rovesciato con la forza il governo liberamente eletto di un altro stato nella regione almeno dalla fine della Guerra Fredda.
Alla luce di questa inquietante possibilità, rileggere l’introduzione al libro dello stesso Gorbaciov, porta a fare altre riflessioni sulla grande opportunità che non siamo riusciti a cogliere: “Ho scritto questo libro con il desiderio di rivolgermi direttamente ai popoli dell'URSS, degli Stati Uniti e di ogni paese del mondo. Ho incontrato capi di Stato e di governo e altri leaders di molti Stati e i rappresentanti dell'opinione pubblica. Tuttavia, lo scopo di questo libro è quello di parlare senza intermediari ai cittadini di tutto il mondo. A proposito delle cose che riguardano tutti noi. Senza eccezioni. Ho scritto questo libro perché ho fiducia nel loro buon senso. Sono convinto che loro, come me si preoccupano del futuro del nostro pianeta. E questa è la cosa più importante” Allora non sono soltanto io l’illuso, forse Gorbaciov lo possiamo definire un visionario, se pensava che i cittadini del mondo si preoccupassero del futuro del nostro pianeta. Non facciamo di tutta l’erba un fascio, non generalizziamo, ma sulla convinzione che i cittadini si diano attivamente da fare per salvare il pianeta, avanzerei qualche pessimistico dubbio. Quello che noto è una tendenziale accentuazione del sentimento di assuefazione o peggio di rassegnazione, terreno ideale per lo sviluppo delle ideologie che giustificano le dittature agli occhi delle popolazioni sottomesse. E se, alla fine, si materializzasse il vero incubo, quello di una geografia del pianeta che escluda via via le saccenti, effeminate, inoffensive democrazie? Quando scatterà il momento di una presa di coscienza delle democrazie, e della contestuale adozione di un'effettiva difesa di sé? Una cosa è già visibile ad occhio nudo: la solidarietà tra i regimi totalitari è molto più naturale, spontanea, facile di quanto non lo sia quella dei regimi democratici.
Continuo la lettura dell’introduzione gorbacioviana: “Dobbiamo incontrarci e discutere. Dobbiamo affrontare i problemi con uno spirito di cooperazione, non di animosità. Mi rendo conto che non tutti saranno d'accordo con me. E per la verità neppure io sono d'accordo con tutto ciò che altri hanno da dire sui vari problemi. E ciò rende ancora più importante il dialogo. Questo libro rappresenta il mio contributo. E proprio la sua amata Russia, oggi porta avanti questo dialogo non con le parole, ma con le bombe. Mi chiedo come sia possibile che una società come quella russa, che comunque ha espresso un Gorbaciov, con le sue idee di pace e cooperazione, possa essersi ripiegata su se stessa e aver prodotto un Putin. Gli studiosi sostengono che la Russia non potrà mai avere una democrazia, per ragioni storiche, culturali, antropologiche. Se si parte da questo assioma, si condanna un popolo a essere sfruttato perennemente da un’oligarchia criminale e avida. Forse è il momento di “cambiare strada” e di cominciare a cercare con tutte le proprie forze una nuova consapevolezza: che le cose possono anche mutare, basta appunto esserne consapevoli e volerlo con forza e determinazione.
Come, del resto, riteneva Mikhail Gorbaciov nel suo libro del 1984, che cito ancora dall’introduzione: “Perestrojka non è un trattato scientifico e neppure un'opera propagandistica, anche se i punti di vista, le conclusioni e le analisi, che il lettore vi troverà, sono basati naturalmente su valori e premesse teoriche ben definiti. È piuttosto una raccolta di pensieri e di riflessioni sui problemi che ci troviamo ad affrontare, sulla portata dei cambiamenti e la complessità, le responsabilità e la straordinaria unicità del nostro tempo. È un libro che parla dei nostri piani e del modo in cui tendiamo a realizzarli. Ed è, lo ripeto, un invito al dialogo, in buona parte dedicato al nuovo pensiero politico, alla filosofia della nostra politica estera e se contribuirà a rafforzare la fiducia tra le nazioni, riterrò che sia servito allo scopo.”